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giovedì 27 gennaio 2011

G.G.Belli

Che dite può essere attuale?

Mentre ch'er ber paese se sprofonna
tra frane, teremoti, innondazzioni
mentre che so' finiti li mijioni
pe turà un deficì de la Madonna

Mentre scole e musei cadeno a pezzi
e l'atenei nun c'hanno più quadrini
pe' la ricerca, e i cervelli ppiù fini
vanno in artre nazzioni a cercà i mezzi

Mentre li fessi pagheno le tasse
e se rubba e se imbrojia a tutto spiano
e le pensioni so' sempre ppiù basse

Una luce s'è accesa nella notte.
Dormi tranquillo popolo itajiano
A noi ce sarveranno le mignotte

giovedì 23 luglio 2009

Latino

Su una bozza di relazione del mio ufficio hanno scritto quest'introduzione:


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Quanti la capiranno? Forse nessuno leggerà né l'introduzione né la relazione di 249 pagine.
Comunque cercherò di farne la traduzione!

venerdì 10 luglio 2009

De Coniuratione Catilinae [3]

Pulchrum est bene facere rei publicae, etiam bene dicere haud absurdum est; vel pace vel bello clarum fieri licet; et qui fecere et qui facta aliorum scripsere, multi laudantur. Ac mihi quidem, tametsi haudquaquam par gloria sequitur scriptorem et auctorem rerum, tamen in primis arduom videtur res gestas scribere: primum quod facta dictis exequenda sunt; dein quia plerique quae delicta reprehenderis malevolentia et invidia dicta putant, ubi de magna virtute atque gloria bonorum memores, quae sibi quisque facilia factu putat, aequo animo accipit, supra ea veluti ficta pro falsis ducit. Sed ego adulescentulus initio, sicuti plerique, studio ad rem publicam latus sum, iique mihi multa adversa fuere. Nam pro pudore, pro abstinentia, pro virtute audacia largitio avaritia vigebant. Quae tametsi animus aspernabatur insolens malarum artium, tamen inter tanta vitia inbecilla aetas ambitione corrupta tenebatur; ac me, cum ab relicuorum malis moribus dissentirem, nihilo minus honoris cupido eadem quae ceteros fama atque invidia vexabat.
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Ma nel vasto campo delle occupazioni umane la natura mostra a chi una strada a chi un'altra. E' nobile operare nel bene dello Stato, ma non è assurdo neanche scriverne in modo adeguato.
O in pace o in guerra è lecito divenire famoso: e coloro che lo fecero e coloro che scrissero i fatti degli altri, in molti furono lodati. E a me tuttavia, sebbene la gloria di chi scrive i fatti e di chi li compie non sia assolutamente uguale, sembra per lo meno molto difficile scrivere le gesta: in primo luogo perché con le parole bisogna eguagliare i fatti; poi perché la gran parte crede che siano dette per malevolenza e per invidia quelle cose che abbia mosso a misfatti; qualora poi tu rievochi la grande virtù e la gloria di uomini eccezionali, ciascuna con anima equa apprende quelle cose che crede che siano facili a farsi da parte sua, e ritiene false come se fossero state inventate le cose al di sopra.
Ma io nel principio, da adolescente, così come la gran parte, fui trascinato dalla passione per lo Stato, e allora ebbi molte delusioni. Infatti al posto del rispetto, del disinteresse e del merito, vigevano la sfrontatezza, l'avidità e la corruzione.
Il mio animo, non abituato ai maneggi disonesti, rifiutava queste cose, tuttavia fra tanti vizi, la mia tenera età si lasciava corrompere dell'ambizione; e per nulla di meno la stessa brama di onore che con la maldicenza e l'invidia devastava gli altri devastava anche me, benché dissentissi dalle cattive abitudini degli altri.
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Il De Catilinae coniuratione (La congiura di Catilina), scritta dallo storico latino Gaio Sallustio Crispo (86 - 34 a.C.), narra la congiura ordita da Lucio Sergio Catilina nel 63 a.C., nel tentativo, rivelatosi poi fallimentare e costatogli la vita, di instaurare una dittatura a Roma .

mercoledì 8 luglio 2009

De Coniuratione Catilinae [2]

Igitur initio reges--nam in terris nomen imperi id primum fuit--diversi pars ingenium, alii corpus exercebant: etiam tum vita hominum sine cupiditate agitabatur; sua cuique satis placebant. Postea vero quam in Asia Cyrus, in Graecia Lacedaemonii et Athenienses coepere urbis atque nationes subigere, libidinem dominandi causam belli habere, maximam gloriam in maximo imperio putare, tum demum periculo atque negotiis compertum est in bello plurimum ingenium posse. Quod si regum atque imperatorum animi virtus in pace ita ut in bello valeret, aequabilius atque constantius sese res humanae haberent, neque aliud alio ferri neque mutari ac misceri omnia cerneres. Nam imperium facile iis artibus retinetur, quibus initio partum est. Verum ubi pro labore desidia, pro continentia et aequitate libido atque superbia invasere, fortuna simul cum moribus immutatur. Ita imperium semper ad optimum quemque a minus bono transfertur. Quae homines arant navigant aedificant, virtuti omnia parent. Sed multi mortales, dediti ventri atque somno, indocti incultique vitam sicuti peregrinantes transigere; quibus profecto contra naturam corpus voluptati, anima oneri fuit. Eorum ego vitam mortemque iuxta aestimo, quoniam de utraque siletur. Verum enim vero is demum mihi vivere atque frui anima videtur, qui aliquo negotio intentus praeclari facinoris aut artis bonae famam quaerit. Sed in magna copia rerum aliud alii natura iter ostendit.

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Dunque all'inizio i re - poiché sulla terra questa fu la prima denominazione del potere - secondo inclinazioni diverse esercitavano alcuni l'ingegno, altri la forza fisica; allora la vita degli uomini trascorreva senza cupidigia; ad ognuno era bastante il suo.
Però poi, quando Ciro in Asia, gli Spartani e gli ateniesi in Grecia, iniziarono a sottomettere le cittò e i popoli, a credere che la più grande gloria stesse nel più grande potere, allora in ultima analisi alla prova dei fatti si riconobbe che in guerra la supremazia spetta all'ingegno.
Che se la forza d'animo dei re e dei comandanti valesse in pace come in guerra, gli avvenimenti degli uomini si conterrebbero con più equilibrio e con più costanza, non vedresti mutare e rimescolarsi tutte le cose.
Poiché il potere facilmente si conserva con le doti dell'animo che lo generarono all'inizio. Ma quando l'inerzia si diffonde in luogo dell'efficienza, la sfrenatezza e l'orgoglio in luogo dell'equità e della continenza, allora la fortuna cambia insieme con i costumi. Così il potere si trasferisce sempre dal meno capace al migliore.
L'agricoltura, la navigazione, l'arte edilizia obbediscono all'ingegno. Ma molti mortali, schiavi del ventre e del sonno, trascorrono la vita da ignoranti e da incolti, simili e viandanti. Ad essi senza dubbio contro natura il corpo è piacere, l'animo è un peso. Vita e morte di costoro io ritengo alla pari, poiché si tace dell'una e dell'altra. Mentre certamente, infine, mi sembra vivere e godere della vita quello che, intento a qualche attività, cerca la gloria di un'illustre impresa e di una nobile occupazione.
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Il De Catilinae coniuratione (La congiura di Catilina), scritta dallo storico latino Gaio Sallustio Crispo (86 - 34 a.C.), narra la congiura ordita da Lucio Sergio Catilina nel 63 a.C., nel tentativo, rivelatosi poi fallimentare e costatogli la vita, di instaurare una dittatura a Roma .

martedì 7 luglio 2009

De Coniuratione Catilinae

Omnes homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit. Sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est: animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, alterum cum beluis commune est. Quo mihi rectius videtur ingeni quam virium opibus gloriam quaerere et, quoniam vita ipsa qua fruimur brevis est, memoriam nostri quam maxime longam efficere. Nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur. Sed diu magnum inter mortalis certamen fuit, vine corporis an virtute animi res militaris magis procederet. Nam et prius quam incipias consulto, et ubi consulueris mature facto opus est. Ita utrumque per se indigens alterum alterius auxilio eget.
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Si addice a tutti gli uomini che vogliono essere superiori agli altri animali impegnarsi col massimo sforzo per non trascorrere una vita nel silenzio così come le bestie che la natura ha plasmato chine e schiave del proprio ventre. Ma tutta la nostra forza è situata nell'animo e nel corpo; dell'anima usiamo l'attitudine al comando, del corpo piuttosto quella all'obbedienza; una ci rende simile agli dei, l'altra alle bestie. E perciò mi sembra più giusto ricercare la gloria con le risorse spirituali più che con le forze fisiche, poiché la stessa vita della quale godiamo è breve, rendere più lunga possibile la nostra memoria. Infatti la gloria delle ricchezze e della bellezza è effimera e fragile, mentre la virtù e posseduta illustre ed eterna. Ma ci fu una grande disputa fra gli uomini se l'attività tragga maggior vantaggio dalla forza fisica o dalle doti dello spirito. Infatti prima di iniziare bisogna riflettere e, dopo aver riflettuto, bisogna agire rapidamente. Così l'uno e l'altro fattore, di per sé insufficienti, hanno bisogno l'uno dell'aiuto dell'altro.

lunedì 6 luglio 2009

Gioventù d'oggi

La decenza è una rarità tra i giovani d'oggi. Solo in pochissimi sono consapevoli di essere soggetti all'anziano o comunque all'autorità altrui!
Statim sapiunt, statim sciunt omnia, neminem veretur, imitantur neminem atque ipsi sibi exempla sunt.
(sono sempre giudiziosi, sanno sempre tutto, non rispettano nessuno, non imitano nessuno e sono esempio a se stessi).

Plinio, Epistulae VIII, 23 sg

sabato 27 giugno 2009

Clemenza e severità

Rieccoci dopo due settimane di meritate (!!) ferie trascorse con i miei due bimbi a Maiori. Durante le vacanze sono riuscito anche a leggere i giornali e sono rimasto colpito dalla prova scritta di maturità del liceo classico: fantastici i versi di Cicerone.

Clemenza e severità
Nec vero audiendi qui graviter inimicis irascendum putabunt idque magnanimi et fortis viri esse censebunt; nihil enim laudabilius, nihil magno et praeclaro viro dignius placabilitate atque clementia. In liberis vero populis et in iuris aequabilitate exercenda etiam est facilitas et altitudo animi quae dicitur, ne si irascamur aut intempestive accedentibus aut impudenter rogantibus in morositatem inutilem et odiosam incidamus. Et tamen ita probanda est mansuetudo atque clementia, ut adhibeatur reipublicae causa severitas, sine qua administrari civitas non potest. Omnis autem et animadversio et castigatio contumelia vacare debet, neque ad eius qui punitur aliquem aut verbis castigat sed ad reipublicae utilitatem referri. Cavendum est etiam e maior poena quam culpa sit, et ne isdem de causis alii plectantur, alii ne appellentur quidem.
Prohibenda autem maxime est ira puniendo; numquam enim iratus qui accedet ad poenam mediocritatem illam tenebit quae est inter nimium et parum, quae placet Peripateticis, et recte placet, modo ne laudarent iracundiam et dicerent utiliter a natura datam. Illa vero omnibus in rebus repudianda est, optandumque ut ii qui praesunt reipublicae legum similes sint, quae ad puniendum non iracundia sed aequitate ducuntur.

Cicerone
Soluzione della versione

Non bisogna dare ascolto a coloro i quali credono che dobbiamo adirarci fieramente coi nostri nemici e anzi vedono appunto nell'adirarsi il carattere distintivo dell'uomo magnanimo e forte: no la virtù più bella la virtù più degna di un uomo grande e nobile è la mitezza e la clemenza. Negli Stati liberi ove regna l'eguaglianza del diritto bisogna anche dare prova di una certa arrendevolezza e di quella che è solita chiamarsi padronanza di sé per non incorrere nella taccia di inutile e odiosa scontrosità se ci accada di adirarci con importuni visitatori o con sfrontati sollecitatori. E tuttavia la mite e mansueta clemenza merita lode solo a patto che per il bene superiore dello Stato si adoperi anche la severità senza la quale nessun governo è possibile. Ogni punizione e ogni rimprovero però devono essere privi di offesa e mirare non alla soddisfazione di colui che punisce o rimprovera ma solo al vantaggio dello Stato.
Bisogna anche badare che la pena non sia maggiore della colpa e non avvenga che per le medesime ragioni alcuni siano duramente colpiti altri neppure richiamati al dovere. Soprattutto è da evitare la collera nell'atto stesso del punire: chi si accinge al castigo in preda alla collera non terrà mai quella giusta via di mezzo che corre fra il troppo e il poco via che piace tanto ai Peripatetici e piace a ragione solo che poi non dovrebbero lodare l'ira dicendo che essa è un utile dono della natura. No l'ira è da tenere lontana in tutte le cose e bisogna far voti che i reggitori dello Stato assomiglino alle leggi le quali sono spinte a punire non per impeto d'ira ma per dovere di giustizia.
NB: traccia e soluzioni pubblicate dal sito LaStampa.it

giovedì 14 maggio 2009

Segreti da svelare

Mentre cercavo idee per il post di oggi ho trovato un blog interessante anche se non aggiornato di frequente.
Il blog si chiama Segreti da svelare e tratta di un progetto di ricerca e traduzione di antichi documenti in latino, particolarmente d'epoca medievale e moderna che non sono stati pubblicati in lingua moderna o il cui senso originale, travisato in fase di traduzione, resta tuttora oscuro ai più.

venerdì 13 marzo 2009

Agli abitanti di Bosra

E voi gente vivete nella reciproca concordia e fate che nessuno sia ostile o agisca ingiustamente.
Quanti tra voi hanno deviato non oltraggino quelli che servono gli dèi in maniera retta e giusta,secondo le tradizioni che ci sono pervenute dall'inizio dei secoli.
Quanti tra voi servono gli dèi non oltraggino o saccheggino le case di quelli che hanno deviato più per ignoranza che di proposito.
Gli uomini devono essere persuasi e istruiti con la ragione, non con percosse o con insulti o maltrattamenti fisici ...
Bisogna commiserare piuttosto che odiare coloro che si trovano,riguardo alle cose supreme, su una cattiva strada.
Infatti il supremo dei beni è la religione,mentre il supremo dei mali è l'irreligiosità
Flavio Claudio Giuliano, Agli abitanti di Bosra [nell'odierna Siria] 438
Flavio Claudio Giuliano (331-363 d.C.) nacque a Costantinopoli.Fu imperatore dal 360.Tentò di restaurare l'antica religione ellenica. Filosofo neoplatonico. Morì a Ctesifonte, nell'odierno Iraq, ucciso in battaglia da una lancia romana, forse cristiana.

martedì 10 febbraio 2009

I popoli felici

I popoli felici non hanno storia, ecco una verità romana.
L'ideale del popolo romano è molto stabile, un ordine perpetuo che è quello della umanità civilizzata.
Quando Orazio definisce l'infinito dice "no, non sarà la fine: gran parte di me sfuggirà alla morte. E finché sul Campidoglio salirà con la vergine muta un pontefice, nel futuro sempre più fiorirò di gloria ".
Possiamo dire altrettanto dell'Italia attuale?

giovedì 5 febbraio 2009

Il filosofo deve dialogare soprattutto con i potenti

Il filosofo "non è uno scultore di statue che stanno ritte e immobili su di un piedistallo", come dice Pindaro:è uno che infonde forza, energia, operosità a coloro che avvicina,dando loro stimoli ad agire, impulsi verso il bene,pensieri elevati e grandezza d'animo, insieme a dolcezza e semplicità.
Plutarco, Il filosofo deve dialogare soprattutto con i potenti, 1

lunedì 26 gennaio 2009

Plinio il Vecchio, Storia naturale, II, 1-2


Il mondo, questo insieme che ci si è compiaciuti di chiamare anche in modo diverso, il "cielo", la cui volta copre la vita di tutto l'universo,va considerato una divinità, eterna, senza inizio e senza fine.Scrutare ciò che sta fuori di esso non importa all'uomo e sfugge alle congetture della mente umana.

Il mondo è sacro, eterno immenso, tutt'intero in ogni cosa, o piuttosto è il Tutto, infinito che sembra finito, determinato in ogni cosa che sembra indeterminata, al di dentro, al di fuori, abbracciante tutto in lui,è al contempo l'opera della natura e la natura stessa.


Plinio il Vecchio, Storia naturale, II, 1-2

Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio (Como, 23 – Stabia, dopo l'8 settembre 79), è stato uno scrittore latino.
Era proprio del suo stile descrivere le cose in diretta, dal vivo, ed egli è per noi un vero cronista dell'epoca.
Morì infatti tra le esalazioni solfuree dell'eruzione vulcanica del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei, mentre provava ad osservare il fenomeno vulcanico più da vicino.
In suo onore viene usato il termine di eruzione pliniana per definire una forte eruzione esplosiva simile a quella del Vesuvio in cui perse la vita.
La Naturalis Historia, che conta 37 volumi, è il solo lavoro di Plinio il Vecchio che si sia conservato. Questo documento è stato a lungo il riferimento in materia di conoscenze scientifiche e tecniche. Plinio ha compilato la conoscenza della sua epoca su argomenti molto diversi quali: le scienze naturali, l' astronomia, l' antropologia, la psicologia o la metallurgia.

domenica 18 gennaio 2009

Lo sguardo degli altri

Un uomo buono? Chi rispetta i decreti del Senato, le leggi e i diritti civili, chi come giudice compone i nostri continui, grandi dissensi, garante degli averi altrui e testimone nelle nostre liti. Ma tutta la sua gente, tutti i suoi vicini lo vedono bene: ignobile dentro e splendido fuori per la bellezza della pelle.

Orazio Epistole



L'uomo romano non è in grado di conoscersi da solo, di autovalutarsi, ma ha bisogno dello sguardo degli altri. L'uomo romano non è altro che esteriorità.
Più generalmente il vocabolario della gloria e dell'onore è quella del clamore e della notorietà. Essere nobile vuol essere conosciuto, anzi illustre. Essere illustre vuol dire aver fatto scalpore a Roma.
Roma è una società del biasimo e della lode.
L'onore e la riprovazione collettivi servono a regolare tutto ciò che nell'uomo non deriva dalla legge e dall'istituzione, in altre parole, la sua vita morale.

giovedì 8 gennaio 2009

Roma è un ideale!


Roma non è soltanto una entità geografica.
Roma non è circoscritta da fiumi, monti o mari.
Roma non è un fatto di razza, sangue o religione: Roma è un ideale.
Roma è la più sublime personificazione della libertà e della legge mai realizzata dal genere umano da quando, diecimila anni fa, i nostri antenati sono scesi da quei monti e hanno imparato a vivere in comunità obbedendo alla legge.”



Discorso di Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a.C.) durante la campagna elettorale della Gallia Citeriore (Valle del Po). Riportato da Marco Tullio Tirone, suo segretario particolare

lunedì 5 gennaio 2009

Mai nessuna repubblica

Mai nessuna repubblica fu più grande né più santa né più ricca in esempi di virtù ; mai una città resisté più a lungo all'immigrazione del lusso e del gusto per il denaro, mai una città onorò così a lungo e così bene la vita semplice e autarchica. Tant'è vero, che meno si possiede, meno si avvertono falsi bisogni. Invece negli ultimi tempi la voglia di accumulare ogni cosa e il fiume di delizie materiali sono state accompagnati da un doloroso desiderio di immergere se stessi e i propri beni nel lusso e nel piacere.

Tito Livio , prefazione Storia di Roma

lunedì 8 dicembre 2008

Pirro e Cinea


Plutarco riporta un dialogo tra Pirro e Cinea, suo ambasciatore-luogotenente, oratore tessalo di grande abilità.

Cinea vedendo che Pirro si accingeva a partire per l'Italia, trovatolo in un momento libero, iniziò la sua conversazione:

Cinea: si dice, Pirro, che i romani siano buoni combattenti e governino popoli bellicosi; se la divinità ci concede di vincerli, che cosa faremo della vittoria?

Pirro: Tu mi chiedi, Cinea, una cosa che appare evidente : una volta sconfitti i romani non ci sarà nessuna città barbara o greca in grado di resisterci e ben presto ci impadroniremo di tutta l'Italia, di cui nessuno può conoscere meglio di te l'estensione, la prosperità e la potenza.

C: Dopo aver conquistato l'Italia o re, cosa faremo?

P: Là vicino ci tende le braccia la Sicilia, isola ricca, popolosa e facilissima da conquistare, poiché la momento, o Cinea, tutto vi è in preda alla sedizione, all'anarchia delle città, alla violenza dei demagoghi, dopo la morte di Agatocle.

C: Ciò che dici è probabile, ma la conquista della Sicilia segnerà la fine della nostra spedizione?

P: Che un Dio ci conceda la vittoria e il successo; ciò costituirà per noi il preludio a grandi imprese. Chi infatti si tratterrebbe dal conquistare, una volta che siamo alla portata, l'Africa e Cartagine? Una volta compiute tali conquiste, chi potrebbe negare che nessuno dei nemici che ora ci insultano potrà resisterci?

C. No: è chiaro infatti, che con tali forze, potremo sicuramente recuperare la Macedonia e dominare la Grecia. Ma quando avremo sottomesso tutti, che faremo?

P: ci riposeremo a lungo, mio caro, e ogni giorno, con la coppa in mano, ci rallegreremo conversando tra noi.

C: Ebbene, che cosa ci impedisce adesso, se lo vogliamo, di prendere una coppa e di riposarci insieme, dal momento che già ne abbiamo le possibilità e disponiamo, senza darcene pena, di tutto ciò che ci accingiamo ad ottenere a prezzo di sangue, di grandi fatiche e di pericoli, dopo aver inflitto ad altri e subito noi grandi mali?

domenica 26 ottobre 2008

Non esiste una donna che non può essere conquistata!

Serata dedicata al cinema in casa di amici. Mentre i bambini guardavano il cartone animato noi adulti abbiamo potuto assistere al primo film da regista di Silvio Muccino: Parlami d'amore.
Ammetto che abbiamo scelto il film con tanta diffidenza, temendo di doverci sorbire l’ennesima commediola o drammuccio sexual-intimistico-melenso sull’amore adolescenziale, con l’idea che avremmo dovuto ancora una volta rammaricarci della pochezza del nuovo cinema italiano, e invece Muccino ci ha fatto una gradevole sorpresa. Certo, non è un gran film e pecca di superficialità ma nel panorama italiano credo che faccia la sua figura.
Comunque, la recensione di film non è argomento di questo blog ma volevo sottolineare la frase di una delle protagoniste:
Non esiste una donna che non può essere conquistata!

La citazione ci ha lasciato un po' perplessi fino a quando il "mio amico Michele" ha continuato......

Ma non tutti gli uomini possono conquistare!

Grazie Michele

per leggere tutti gli aforismi sulle donne

mercoledì 22 ottobre 2008

La fretta

Se stà a fa’ sera e nantra giornata de lavoro se n’é annata;
c’ho l’ossa tutte rotte, la capoccia frastornata.
Cammino senza prescia, tanto, che devo fa’?
Si torno presto a casa me tocca pure sfacchinà!
Sur viale del tramonto me fa l’occhietto er sole,
e dopo na’ giornata a dà i resti a chi li vole,
l’osservo ‘mbambolato, come fosse na’ visione.
Me fermo lì a guardallo, ma chi l’avrà inventato?
E’ bello forte, nun l’avevo mai notato!
Sempre a combatte, sempre appresso a tutti i guai,
splende splende, ma nun m’o godo mai.
E’ robba che co quell’aria bonacciona e rassicurante,
riescirebbe a fa’ sentì amico ogni viandante.
Stà palla arancione m’ha messo pure arsura, ma, ahò!!
Nun so mica na’ monaca de clausura!
E allora o’ sai che nova c’è ? Io nun c’ho più fretta
e me butto drent’ai meandri de’ na’ fraschetta.
Con le zampe sotto ar tavolino,
e in compagnia de’ n’ber fiasco de vino,
me guardo intorno soddisfatto,
finalmente ho smesso de sbrigamme come un matto!!
E mentre er Cannellino m’arriva ar gargarozzo
Rido cò n’amico e ordino nantro litrozzo.
La vista me se annebbia ma non la mia coscienza
che se mette a riflette sull’umana esistenza:
a che serve stà sempre a core pe’ tutte le raggioni
si so quasi sempre rotture de’ cojoni??


TRILUSSA

domenica 19 ottobre 2008

Amores di Ovidio

“Non esiste una bellezza definita che stimoli il mio amore:cento sono le cause per cui sono sempre innamorato.
Se una donna abbassa dinanzi a me pudicamente gli occhi, ardo di desiderio e quel pudore mi seduce;
se un’altra è provocante, mi attrae perché non è un’ingenua, e mi aspetto che sappia muoversi nel morbido letto.
Se sembra dura e simile alle austere Sabine, penso che ne abbia voglia, ma che dissimuli il suo desiderio.
Se sei istruita, mi piaci perché fornita di rare qualità;
se invece sei incolta, mi piaci per la tua semplicità.
C’è quella che giudica rozzi i carmi di Callimaco confrontati con i miei: quella cui piaccio subito mi piace.
Un’altra critica la mia attività di poeta e le mie poesie:vorrei sentire sotto la mia la coscia di colei che mi critica.
Cammina mollemente: mi conquista col suo incedere; un’altra è dura:ma potrà ammorbidirsi al contatto dell’uomo.
Questa, poiché canta dolcemente e sa modulare benissimo la voce,vorrei baciarla rubandole i baci mentre canta.Un’altra percorre con abile pollice le corde della lira:chi potrebbe non amare mani così esperte?
Quella mi piace per i suoi gesti: muove le braccia ritmicamente e piega il tenero fianco con languida arte: per non parlare di me, che mi eccito per ogni pretesto,mettile di fronte un Ippolito, diventerà un Priàpo.
Tu, che sei così alta, eguagli le antiche eroine e puoi distenderti occupando per intero il letto;quest’altra mi va bene per la bassa statura: mi seducono entrambe, sono conformi ai miei desideri quella alta e quella piccola.
Non è elegante: immagino quanto migliorerebbe se ben curata;è raffinata: mette in evidenza lei stessa i suoi pregi.
Mi conquisterà una ragazza bionda, dalla pelle chiara;
ma è piacevole far l’amore anche con una di colorito scuro.
Se dal niveo collo le scendono i neri capelli, Leda era notevole per la chioma bruna;
se sono biondi, Aurora piaceva per i capelli dorati:il mio amore si adatta a tutti i miti.
La donna giovane mi stimola, quella più matura mi attrae: la prima è migliore per bellezza, la seconda è più esperta.
Insomma, qualunque ragazza nell’intera Roma trovi un ammiratore, a tutte quante si volge il mio desiderio amoroso”.

(Ovidio, Amores, II, 4, vv. 9-48, in G. Garbarino)

lunedì 13 ottobre 2008

Terenzio e le donne

Conosco il carattere delle donne: non vogliono quando tu vuoi, quando tu non vuoi, sono le prime a volere.

Publio Terenzio Afro
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Publio Terenzio Afro ( Cartagine, 185 a.C. circa – 159 a.C.) è stato un commediografo latino. Il grande grammatico Donato ci ha lasciato su di lui una dettagliata biografia, ispirata però in gran parte a Svetonio.

Giunto a Roma come schiavo di un nobile senatore, Terenzio Lucano, fu in seguito affrancato, diventando un liberto. Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio Furio Filo.

Morì per cause che non è possibile definire con certezza nel 159 a.C., si sospetta per naufragio. Aveva circa 26 anni.

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