martedì 18 gennaio 2011

Il cambio del clima contribuì alla caduta dell'Impero Romano

Articolo pubblicato sul Corriere.it

Il cambiamento climatico potrebbe essere stato fra le cause della caduta dell’Impero Romano. Queste le conclusioni di uno studio, condotto dai ricercatori dello “Swiss Federal Research Institute for Forest, Snow e Landscape”, che hanno ricostruito la storia dei cambiamenti climatici nelle estati europee degli ultimi 2.500 anni.
Analizzando gli anelli di crescita di 9mila manufatti e campioni d’albero semi-fossilizzati, viventi in Germania, Francia, Italia ed Austria, gli scienziati hanno così scoperto che gli schemi climatici potevano essere collegati ad eventi storici dalle conseguenze devastanti. Si è visto, infatti, che i periodi caldi e umidi (indicati dagli anelli di crescita più ampi) erano coincisi con un’epoca di prosperità, mentre, per contro, un clima secco o comunque mutevole (cerchi più stretti) si era accompagnato a sconvolgimenti politici, come la caduta dell’Impero Romano e la Guerra dei Trent’Anni.

«Guardando agli ultimi 2.500 anni, ci sono svariati esempi di come il cambiamento climatico abbia influenzato la storia dell’umanità – ha spiegato Ulf Buntgen, co-autore della ricerca, al sito della rivista “Science”, ripreso dal “Daily Telegraph” –. Non a caso, i periodi caldi e umidi hanno caratterizzato la prosperità dell’epoca romana e medievale, mentre un aumento della variabilità climatica dall’AD 250 al 600 ha coinciso con la fine dell’Impero Romano d’occidente e con le turbolenze dell’epoca delle migrazioni. Basti pensare alla siccità del terzo secolo che si accompagnò, in parallelo, alla crisi dell’Impero Romano d’occidente, segnato dalle invasioni barbariche, dai disordini politici e dalle ripercussioni economiche in diverse province della Gallia».
Secondo l’esperto, i risultati raggiunti dallo studio potrebbero aiutare a costruire futuri modelli climatici e servire da monito sull'incidenza che possono avere le variazioni del clima nella società. «Siamo molto interessati a capire le civiltà del passato e a rendere le nostre ricerche più corpose – ha concluso Buntgen – e c’è anche un ampio spazio di miglioramento, per ottenere dati qualitativamente superiori e su una scala temporale più ampia».

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