mercoledì 16 gennaio 2008

L'insulae


L'insula era, in buona sostanza, il condominio dell'antica Roma tardo-repubblicana e, poi, imperiale.
Nella forma più tipica si trattava di edifici quadrangolari, con cortile interno (cavedio), costituiti da un piano terra, in genere destinato a botteghe di vario genere (tabernae), dotate di un soppalco per deposito di materiali e/o alloggio degli artigiani più poveri, e da piani superiori, destinati agli alloggi, via via meno pregiati verso l'alto.


In particolare a Roma, si trattava di veri e propri palazzi di appartamenti in affitto (cenacula). Ampie parti (solai, sopraelevazioni, ballatoi) erano costruite in legno e a volte le nuove costruzioni si appoggiavano ai muri perimetrali di quelle precedenti, appoggiandosi le une alle altre. A causa dell'affollamento del centro cittadino, gli edifici erano giunti a svilupparsi in altezza anche sino a 10 piani, nonostante il tentativo di limitarne l'altezza per legge.


Dopo il grande incendio di Roma, l'imperatore Nerone dettò norme molto severe per la costruzione delle insule, proibendo che avessero muri perimetrali comuni e altezze superiori ai 5 piani. Inoltre, decretò che tutti gli edifici fossero costruiti prevalentemente in pietra e dotati di portici sporgenti dalla facciata, con servitù pubblica di passaggio e attrezzature antincendio.


Le norme furono tuttavia largamente disattese e, tra la fine del II e gli inizi del III secolo, l'insula Felicles, nel Campo Marzio, viene citata quasi proverbialmente da Tertulliano (Adversus Valentinianos, 7) per la sua altezza straordinaria.

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