venerdì 30 ottobre 2009

Le nozze Aldobrandini


Ritorno su uno delle più belle opere che ho ammirato alla mostra presso le Scuderie del Quirinale.

Le nozze Aldobrandini è un frammento di fregio da una decorazione paretiale in III stile, ritrovato in una domus romana sull'Esquilino ed esposti presso i Musei Vaticani.

Al centro del riquadro, sul letto, ci sono Venere che tranquillizza la sposa in attesa del marito. Ai piedi del letto è rappresentato il dio delle nozze mentre ai lati ci sono i consueti riti del matrimonio romano (il fuoco e il benvenuto).

I romani prevedevano tre diverse forme di matrimonio che ponevano la donna sotto la manus, il potere, del marito:

  • la confarreatio, gli sposi facevano offerta di una torta di farro a Giove Capitolino, alla presenza del sommo pontefice e di chi officiava il rito, il Flamen dialis;

  • la coemptio il padre plebeo metteva in atto una vendita fittizia della figlia, così emancipandola, al marito;

  • l'usus: la coabitazione ininterrotta di un anno di un plebeo con una patrizia era considerata un matrimonio legale.

Nel II secolo nessuna di queste tre forme era sopravvissuta. Il primo a scomparire fu l'usus molto probabilmente abolito da Augusto. L'ultimo esempio di matrimonio secondo l'uso della coemptio risale all'epoca del secondo triumvirato (43 a.C.). La confarreatio era così caduta in disuso che al tempo di Tiberio risultavano solo tre patrizi nati da un matrimonio di questa forma.
Quelle antiche forme di matrimonio al tempo di Gaio erano ormai argomento delle dissertazioni dei giureconsulti mentre ormai si era consolidato un rito matrimonaile che nelle sue caratteristiche esteriori ma anche nello spirito era molto simile al nostro.

La cerimonia degli sponsali è stata minutamente descritta da vari autori romani: il giorno stabilito la fidanzata, che la sera prima aveva raccolto i capelli in una reticella rossa, indossava una tunica senza orli (tunica recta), fissata con una cintura di lana con un nodo doppio (cingulum berculeum), e un mantello (palla) color zafferano, ai piedi sandali dello stesso colore, al collo una collana di metallo e sulla testa un'acconciatura, come quella delle Vestali, formata da sei cercini posticci separati da piccole fasce (seni crines), avvolta in un velo color arancio fiammeggiante (flammeum) che copre la parte superiore del viso; sul velo una corona intrecciata di maggiorana e verbena, al tempo di Cesare e d'Augusto, più tardi di mirto e fiori d'arancio.
Quando ha finito di vestirsi la fidanzata riceve il fidanzato, la famiglia e gli amici di lui: tutti assieme poi sacrificano agli dei nell'atrium della casa o presso un tempio vicino. Quando il sacrificio della pecora o di un bue, più frequentemente di un maiale è stato compiuto, l' auspex e i testimoni, solitamente una decina, pongono il loro sigillo sull'atto di matrimonio che però può anche mancare. L' auspex, che non è un sacerdote né un funzionario, esamina le interiora per vedere se gli dei gradiscano quanto è stato celebrato: se così non fosse il matrimonio sarebbe annullato. L'auspex dunque in un religioso silenzio annunzia il favore degli dei e gli sposi pronunciano una formula che nella concisione romana esprime meglio di mille parole lo spirito della unione matrimoniale: Ubi tu gaius, ego Gaia.
A questo punto la cerimonia è conclusa e gli invitati e i parenti festeggiano gli sposi innalzando grida augurali: feliciter («La felicità sia con voi!») e si dà inizio al banchetto nuziale che dura sino al tramonto.
Quindi la sposa viene condotta a casa dello sposo con una processione aperta da suonatori di flauto e cinque tedofori mentre si levano canzoni licenziose e gioiose. Durante il cammino la sposa lancia ai ragazzini accorsi delle noci come quelle con cui giocava da bambina. Alla testa del corteo sono tre amici dello sposo, uno il pronubus, porta una torcia intrecciata di biancospini, e gli altri due prendono la sposa e senza farle toccare i piedi in terra la sollevano al di là della soglia della casa ornata con paramenti bianchi e verdi fronde.
Tre amiche della novella sposa entrano anche loro in casa, una porta la conocchia, un'altra il fuso, chiari simboli di quelle che saranno le sue attività casalinghe, mentre la terza, la più importante, accompagna la sposa al letto nuziale dov'è il marito che le toglie il mantello e le scioglie il triplice nodo della cintura che ferma la tunica mentre tutti gli invitati discretamente se ne vanno.

giovedì 29 ottobre 2009

La tecnica dell’affresco


Mentre cercavo su internet qualche notizia sulle opere ammirate alle Scuderie del Quirinale ho trovato questo documento interessante su http://www.pierreci.it/ relativo alla tecnica degli affreschi.

Nell’antica Roma i proprietari di ricche dimore potevano rivolgersi a vere e proprie squadre di lavoro per decorare ed abbellire le loro case.
Queste maestranze non comprendevano solo artisti, ma anche figure che potremmo paragonare ai moderni muratori: c’erano infatti i manovali che preparavano la parete, quelli che mescolavano l’impasto per poter creare l’affresco, coloro che coordinavano il lavoro e, infine, i pictores, che solitamente erano due: uno che stendeva i colori di fondo (detto pictor parietarius) e l’altro che si occupava di disegnare e dipingere le scene e le figure, l’artista vero e proprio (chiamato pictor imaginarius).
Insieme al gruppo di lavoro, il proprietario sceglieva anche i soggetti della decorazione, consultando una sorta di catalogo e adattando, se necessario, i personaggi e le storie (soprattutto miti) alle sue esigenze e al suo ruolo sociale, così da poter dare dei messaggi, anche politici, ai propri ospiti.

La tecnica di esecuzione
Innanzi tutto bisognava verificare che nell’ambiente da decorare non ci fosse umidità, in questo caso si disponevano delle tegole per evitare che l’intonaco e i colori si rovinassero; subito dopo si poteva iniziare a rendere liscia e omogenea la parete: riempire i vuoti e stuccare le parti irregolari, ad esempio.
La fase successiva era quella dell’applicazione e della stesura di sei strati di intonaco; questo era ottenuto mescolando alla calce: sabbia, pozzolana e, per l’ultimo strato, polvere di marmo. Gli strati erano così numerosi perché lo spessore dell’intonaco permetteva di mantenere umida la parete per poter stendere bene i colori e per poter garantire che la decorazione durasse a lungo nel tempo.


I colori
Molti erano i colori a disposizione degli artisti dell’antica Roma; erano di origine naturale e minerale e diventavano sempre più numerosi ogni volta che l’impero conquistava nuovi territori, dove trovava delle nuove materie prime per creare diverse tonalità di gialli, di verdi, di blu, di rossi, di bianchi, di neri. Gli antichi ne contavano un numero compreso tra ventiquattro e trentacinque, oggi noi ne conosciamo circa ventotto e, grazie al lavoro di archeologi e restauratori, sappiamo anche come li ottenevano.
Ad esempio non si usava un solo tipo di bianco: uno era più luminoso e veniva adoperato soprattutto per i volti delle donne, si otteneva da una farina ricca di fossili proveniente dall’Egitto; un altro era importato dalla Grecia e da tutte le zone dove la creta era molto chiara perché ricca di argilla, era più economico e opaco, si usava per lo sfondo o per schiarire gli altri colori.
I diversi tipi di nero erano di origine vegetale o animale e si creavano bruciando legno, vinacce o avorio: ecco perché il nero si chiamava "nero fumo"! I carboni ottenuti si pestavano in un mortaio per renderli più sottili e, se si voleva aumentare l’effetto lucido e coprente, si miscelavano a colle derivanti dal grasso degli animali.

Il rosso chiamato sinopia era ottenuto dalla terra rossa proveniente da Sinope, una città nella zona meridionale del mar Nero, ma poteva giungere a Roma anche dalle isole Baleari o dall’Egitto; quello egiziano era un rosso più intenso.
Dalle miniere di Grecia e Spagna proveniva il rosso cinabro.

I minatori estraevano pietre di colore rossastro ( ricche di ferro ), poi le cuocevano in un forno per far evaporare l’umidità. Dopo la prima cottura le rocce si ammorbidivano e potevano essere pestate e sgretolate, poi lavate e, infine, nuovamente cotte in forno. Il rosso cinabro era molto richiesto, però si anneriva facilmente dopo essere stato usato sulle pareti.

Un colore speciale: il sangue di drago! Il colore chiamato sangue di drago era ottenuto dai frutti di
una palma e doveva il suo nome a una leggenda. Si racconta di un serpente che con il suo morso uccise un elefante, ma poi morì schiacciato dal peso del grosso animale; il racconto vuole che il sangue di drago fosse nato dalla miscela del sangue dei due animali. Altri rossi si ottenevano dagli insetti o dalle conchiglie ( la porpora ) e avevano un costo molto elevato, per questo motivo erano
poco usati.
Anche il giallo era una terra, detta ocra, composta da ferro e argilla e reperibile in molte zone, anche in Italia, a Siena ad esempio ( ancora oggi chiamiamo terra di Siena un colore dalla tonalità giallo scura ). Altri tipi di giallo erano di origine vegetale e si ottenevano dallo zafferano o dagli stami di una specie particolare di viole.
Il verde più usato era creato artificialmente: si mettevano delle lamelle di rame dentro vasi di argilla e si ricoprivano di aceto, i vasi venivano chiusi per più giorni con lastre di piombo per non far fuoriuscire il vapore, quando il vaso veniva aperto si trovava il verde depositato sul fondo; era il risultato della reazione dell’aceto col rame. Esisteva anche un verde in natura, era anche questo una terra, come l’ocra, e viene oggi chiamato terra di Verona.
Ci resta solo da capire adesso come gli antichi romani si procuravano il blu. Il più famoso, ma anche il più costoso, era il lapislazzuli, ottenuto sgretolando la pietra preziosa proveniente dall’Afghanistan; se ne poteva ottenere uno simile mescolando una speciale terra ( che si trovava nei dintorni di Napoli ) con sabbia e acqua; con questo impasto si formavano piccole sfere che venivano prima essiccate al sole e poi cotte in forno dentro vasi di terracotta.
Un ultimo tipo di blu proveniva dal limo dell’India e per questo motivo veniva chiamato indaco.

Per il documento originale

martedì 27 ottobre 2009

Ercole e Telefo

Oggi racconto dell'opera che più mi ha colpito durante la mia visita alla mostra allestita alle Scuderie del Quirinale: Ercole e Telefo.


L'affresco, in prestito dal Museo Archeologico di Napoli e Pompei, proviene dalla cd. Basilica di Ercolano ed è un frammento di una decorazione paretiale in IV stile, databile tra il 50 e il 79 d.C..

La Basilica, nota nel Settecento come Tempio di Teseo o di Ercole proprio in virtù dei quadri, è sepolta sotto la moderna Ercolano.

Incontrare il tema di Ercole e Telefo ad Ercolano è confrontabile con la storia di Romolo e Remo, e non è allora fortuito che le biografie di Telefo e Romolo figurino come vite parallele nell’opera di Plutarco, mentre i due soggetti compaiono quali pendants nel repertorio figurativo non solo ellenistico, ma anche romano-imperiale.


Nella mitologia greca Telefo è figlio di Eracle e di Auge, figlia del re di Tegea, Aleo.

Giunto a Tegea, in Arcadia, Eracle ebbe un rapporto amoroso con Auge, figlia del re della città Aleo, senza conoscerne però la reale identità. Da questa unione nacque un bambino, che fu nascosto segretamente da Auge nel recinto di Atena.

Ma Aleo scoprì la maternità della figlia quando, in seguito a una pestilenza che stava devastando il regno, si recò al tempio per pregare la dea. Il bambino fu dunque preso ed esposto sul monte Partenio dove, per volere divino, fu allattato da una cerva. Auge invece fu affidata al re Nauplio per essere venduta in terre lontane. Quest’ultimo, giunto in Misia, ricevette un riscatto dal re Teutrante, che la prese con sé.

Secondo un’altra versione Nauplio doveva affogare la fanciulla, ancora incinta, che però riuscì a fuggire e partorì il piccolo in un boschetto, nascondendolo poi in mezzo ai cespugli. La giovane però, ricatturata, venne venduta a un ammiraglio di Misia che la donò al re Teutrante. Il piccolo, allattato, come detto prima, da una cerva, fu ritrovato da alcuni pastori che lo consegnarono al proprio re, Corito, chiamando il piccolo Telefo, in onore della prima nutrice (il suo nome significa infatti “cerva”).

Diventato adulto, volle avere notizie sulla madre e si recò a Delfi per chiederne informazioni. L’oracolo gli consigliò di recarsi in Misia dal re Teutrante. Giunto dunque in Misia con l’amico Partenope, vide come quella terra era minacciata dall’esercito del re Ida.

Teutrante aveva promesso la mano di Auge a chi avesse sconfitto le schiere del rivale. Telefo affrontò dunque in duello Ida e lo uccise, ricevendo in premio Auge, senza sapere però chi fosse realmente. Ma la donna, riconoscendolo, non volle unirsi a lui e svelò al figlio la sua vera identità. Teutrante felice decise di adottarlo come suo erede e gli diede in moglie Astioche, figlia del re alleato Priamo, da cui ebbe in figlio Euripilo. Alla morte del re, Telefo divenne sovrano di Misia.

giovedì 22 ottobre 2009

"Roma. La Pittura di un Impero" alle Scuderie del Quirinale


Ieri ho usufruito di due ore di permesso e all'ora di pranzo mi sono recato alle Scuderie del Quirinale per ammirae la mostra "Roma. La Pittura di un Impero".
L'ora è perfetta perché il museo è praticamente vuoto. Il costo del biglietto è di 10 euro ma le possibilità di acquistare quello ridotto a 7,50 euro sono numerose. Consiglio di noleggiare l'audioguida per il costo di 4 euro e lasciare cappotti e borse al guardaroba (gratis).

L'esposizione è articolata su due piani e sono esibiti in mostra affreschi, a volte intere pareti per offrire un'idea dei sistemi compositivi, dipinti a tempera e ad encausto (cera fusa), su tavola, su lino o su vetro.

La ricca documentazione romana superstite, per lo più a carattere decorativo, ma non priva di altissimi picchi, ci permette di avere un quadro abbastanza preciso sull'evoluzione dell'arte pittorica dalla Grecia a Roma.

Le opere esposte, provenienti da musei e collezioni italiani ed europei, sono state suddivise in sezioni in base a criteri tematici e cronologici.

Al primo piano, è prevalente un'ottica che privilegia i contesti decorativi: si vedranno così intere grandi pareti, con le loro decorazioni scandite da colonne, pilastri, cariatidi. I singoli "quadri" tematici sono qui visibili nel più ampio campo delle pareti entro le quali erano inserite. Per la prima volta, sarà possibile ammirare, fianco a fianco, le decorazioni di due grandi ville databili alla prima età imperiale: la Villa della Farnesina a Roma e la Villa di Boscotrecase.

Al secondo piano, prevale invece una ottica strettamente tematica, in cui i soggetti sono del tutto estrapolati dai loro sistemi decorativi. Sarà possibile esaminare con maggiore precisione scene mitologiche, paesaggi, nature morte, scene di vita quotidiana, senza che l'occhio sia condizionato dal sistema parietale entro cui in origine tali frammenti erano inseriti.

Chiude l'esposizione la sezione interamente dedicata al repertorio ritrattistico: sarà qui possibile ammirare l'altissimo livello raggiunto in pittura dal ritratto romano, e in alcuni casi, forse, ancora più che in scultura: dai magnifici esemplari pompeiani, ai malinconici ed espressivi volti su legno o lino del Fayyum, fino ai superbi ritratti dorati su vetro di età tardo antica, tra i più alti raggiungimenti dell'arte di età romana.

Tutti i prestiti provengono dai più importanti siti archeologici e musei del mondo, tra cui il Louvre di Parigi, il British Museum di Londra, i musei archeologici di Monaco, Francoforte, Zurigo ma anche il Museo Archeologico di Napoli, gli Scavi di Pompei, il Museo Nazionale Romano, i Musei Vaticani e i Musei Capitolini di Roma, musei famosi e molto frequentati in cui a volte, però, le singole opere possono perdersi.

Il valore della mostra è infatti anche nel 'rivelare' pezzi magnifici e famosi, mettendoli sotto una luce di interpretazione del tutto nuova e allestite in una scenografia ideata dal grande regista Luca Ronconi che torna, ancora una volta, a curare l'allestimento di una grande mostra.

lunedì 19 ottobre 2009

Est Ovest al teatro Eliseo


Venerdì sera con gli amici Gianfranco, Lia, Mauro e Silvia abbiamo iniziato la nostra stagione teatrale 2009/2010. Abbiamo deciso di non fare abbonamenti ma scegliere lo spettacolo volta per volta. Lia e Giuliana come inizio ci hanno portato ad assistere allo spettacolo al teatro Eliseo con Est Ovest, il nuovo spettacolo di Cristina Comencini che vede come protagonista Rossella Falk.

Il lavoro parla di una vicenda familiare in cui vengono messe a confronto aspetti generazionali del nostro tempo. La Falk vi impersona una signora ottantottenne che per festeggiare il suo compleanno riunisce il fratello (interpretato da Luciano Virgilio), i due figli (Claudio Bigagli e Daniela Piperno), e i nipoti (Viola Graziosi, Elisabetta Arosio, Roberto Infascelli, Alessandro Sperduti). Un gruppo di parenti che offre all'autrice della piece lo spunto per trattare un tema imperniato su una donna sola che vive nella sua vecchia casa accudita da una badante ucraina (ad impersonarla è la giovane Merita Xhabu).

Sulla festa incombe, però, l’assenza di una delle nipoti, un segreto che nessuno della famiglia ha avuto il coraggio di dire alla nonna. Si litiga, si scherza, si mente per non rivelare la verità, che verrà fuori poco a poco, la verità di tutti. Le due donne, l’anziana signora e la sua badante, restano alla fine sole nella vecchia casa, unite da un’esperienza che ora appare comune: la straniera ha dovuto lasciare le sue figlie per guadagnare denaro, lo stesso denaro che all’ovest ha dissestato la famiglia di Letizia ed è forse all’origine del mistero della scomparsa della nipote. Un mondo in cui est e ovest si rispecchiano e si affrontano, cercando un senso che sembra sfuggire a tutti.

Spettacolo non irresistibile ma con un interessante lato psicologico che vede la contrapposizione tra giovani e anziani, figli e genitori, fratello e sorella, est e ovest appunto. Protagonisti che sembrano così lontani e in mondi non confrontabili che invece sotto sotto sono identici con le loro paure, speranze e sacrifici.

Lo spettacolo rimarrà in scena all’Eliseo fino al primo novembre.

domenica 18 ottobre 2009

E l'archeologo chiamò il falconiere

L´aquila imperiale è tornata a volare sui resti della villa dei Quintili.
Da due settimane, lanciate in aria dai falconieri della società Ave Nobis, "Spyke" e "Six-one-nine" volteggiano sulle rovine della tenuta che l´imperatore Commodo strappò ai Quintili, dopo averli sterminati, per avere quella principesca dimora sulla Regina viarum.
L´impiego di una coppia di aquile nel sito archeologico statale aperto nel 2000 sull´Appia antica non è espediente per attirare turisti, anche se sono molti i visitatori che rimangono incantati dal volteggio dei due rapaci al tramonto. Ma risponde a un´esigenza di salvaguardia dei resti, soprattutto dei mosaici, minacciati dal guano dei piccioni.
Da quando "Spyke" e "Six-one-nine" si sono messi a caccia, la comunità di colombi si è ridotta: «Da 150 unità, sono passati a circa 30», spiega il falconiere Fabio Ferri. «Ed entro fine mese, con l´entrata in azione del falco pellegrino, l´area sarà bonificata del tutto».
In realtà l´intervento è meno cruento di quello che si possa pensare. E risponde all´esigenza di ristabilire la catena alimentare, spezzata dal proliferare dei piccioni con la scomparsa del falco pellegrino. «Le aquile non cacciano, scacciano piuttosto i colombi che, terrorizzati dai due rapaci, stanno piano piano abbandonando il sito» precisa Riccardo Frontoni, l´archeologo che lavora per la Soprintendenza speciale di Roma sin dall´inizio degli scavi realizzati per riportare alla luce i pavimenti dell´impianto termale che serviva la villa. E che, sulla scia di quanto già tentato nel 2005 ad Ercolano, è stato incaricato di chiamare i falconieri. «In pericolo erano proprio i mosaici del frigidarium e del calidarium - precisa lo studioso - dal momento che i colombi avevano fatto i nidi nelle buche pontaie presenti lungo i muri».
Il guano è molto acido e, così come corrode la vernice delle automobili, "mangia" la superficie delle tessere marmoree, opacizzandole. Per questo, alla villa dei Quintili sono costretti a pulire continuamente gli antichi resti per evitare che le deiezioni dei piccioni si solidifichino.
Meglio allora, con una spesa contenuta, affidarsi alle cure di un allevatore di rapaci. E Fabio Ferri, dopo i Quintili, porterà i suoi due esemplari di aquila di Harris, che gli indiani del deserto di Sonora chiamano "falco rosso", a salvare dal guano anche la tomba di Cecilia Metella e la torre medievale di Santa Maria Nova.
Con alle spalle nove anni di duro lavoro all´aeroporto di Bari Palese («un servizio massacrante, 24 ore al giorno a disposizione con le aquile reali per cacciare volpi e cani randagi dalla pista», racconta Ferri), il falconiere di Sacrofano si presenta ogni pomeriggio al numero civico 1092 di via Appia nuova, ingresso della villa.
E con il suo assistente Alessio Palma, brindisino, toglie il cappuccio a "Spyke" e a "619". Il maschio e la femmina lasciano il braccio dei loro istruttori e iniziano a volteggiare tra le rovine. E subito la colonia di piccioni entra nel panico. Ma l´altro ieri la cacciatrice, all´inizio, non ne voleva sapere di entrare in azione: la sera prima aveva mangiato coniglio ed era troppo sazia. Una volta digerito, "Spyke" ha raggiunto il compagno che intanto, spiccato il volo dai muri diroccati con un salto che sembra davvero il wrestler Rey Mysterio quando si esibisce nella mossa "619", faceva la spola tra frigidarium e ninfeo, dall´altro lato della villa, inseguendo i piccioni. Vedere in azione le due aquile è uno spettacolo. Parte il maschio, che è più leggero.
Lo raggiunge poco dopo la femmina, più forte e decisa. Compiono giri concentrici. E seminano il terrore tra i piccioni. Le due aquile attaccano soprattutto i nidi. «Sono pochi i piccioni che vengono uccisi in volo. È lo stress che elimina gli individui più deboli» spiega il falconiere. Senza più una tana calda dove dormire, i colombi restano tutta la notte sui muri. E quelli malati (questi uccelli sono peraltro portatori di una ventina di malattie per gli uomini, tra cui la meningite) non vedranno l´alba. Gli altri, cambiano casa. E lasciano, forse per sempre, la villa dei Quintili.
di Carlo Alberto Bucci sulla cronaca di roma di www.repubblica.it (18 ottobre 2009)

martedì 13 ottobre 2009

Nerone e Berlusconi


Il Newsweek ha paragonato, in modo negativo, il nostro presidente del Consiglio all’Imperatore Nerone.
Ma l'accostamento è storicamente sbagliato, infatti, gli storici stanno rivalutando la figura di Lucio Domizio Enobarbo detto Nerone.
Riporto l’analisi di Massimo Fini pubblicata sul suo libro “Nerone. Duemila anni di calunnie”.
Nerone fu un grandissimo uomo di Stato. Durante i quattordici anni del suo regno l’Impero conobbe un periodo di pace, di prosperità, di dinamismo economico e culturale quale non ebbe mai né prima né dopo di lui.
Certamente fu un megalomane, un visionario, uno che, direbbe Nietzsche, pensava in grande stile e cercò di modellare il mondo sulle proprie intuizioni e immaginazioni, l’artefice di un’arditissima rivoluzione culturale con la quale intendeva dirozzare i romani e indirizzarli verso la mentalità e i costumi ellenistici, molto più civili e raffinati. Fu anche un esibizionista, un inguaribile narciso e , con tutta probabilità, uno psicolabile schiacciato prima da una madre autoritaria e nastratrice e poi dall’enorme peso che , a soli diciassette anni, per le ambizioni di Agrippina, gli era stato scaricato sulle spalle mentre lui avrebbe preferito dedicarsi alle arti preferite.
Fu un sognatore che, mentre i mondo gli crollava addosso , fantasticava di potersi pur sempre guadagnare da vivere con la propria arte.
Come statista ci sono poi alcune caratteristiche che possono sollecitare la sensibilità moderna. Fu un monarca assoluto che usò il proprio potere in senso democratico: non governo solo in nome del popolo, come voleva la ipocrisia Augustea , ma per il popolo contro le oligarchie che lo opprimevano e lo sfruttavano. E per avere il consenso del popolo – oltre che progettare e attuare misure molto concrete – inaugurò quella che oggi chiameremmo la politica spettacolo. Nerone fu un grande showman.

lunedì 12 ottobre 2009

La Locanda dei Girasoli ....2

Dopo più di sei mesi sabato scorso ritorniamo, su richiesta di Lia, alla Locanda dei Girasoli in via dei Sulpici, 117/H, telefono 06-7610194.

Eravamo, inizialmente, quattro famiglie ma all'ultimo Lia e Gianfranco ci danno buca!

Ribadisco i giudizi sul locale pubblicati nel mio post di febbraio ma abbiamo avuto una grossa delusione dalla cucina.

Abbiamo iniziato con antipasti fritti (mediocri) per continuare con le pizze (scarse), solo il primo scelto da Michele era ottimo. Abbiamo concluso con i gelati per i soli i bimbi.

Inoltre devo criticare il servizio che è stato di una lentezza esasperante e anche per quanto riguardo il prezzo il giudizio è negativo: 20 euro a persona per una pizza, bibita e gelato.

Continuo a consigliare un serata alla Locanda dei Girasoli ma eviterei le pizze e gli antipasti.

mercoledì 7 ottobre 2009

Visita al parco degli Acquedotti


L'associazione culturale Edesia organizza per domenica 11 ottobre prossimo la visita al Parco degli Acquedotti. Si tratta, come noto, di una vasta area archeologica che ci consentirà di approfondire un tema assai rilevante nella storia dell'antica Roma (e non solo): l'acqua.

Modalità e tecniche dell'approvvigionamento idrico sono infatti tra le eccellenze dell'eredità romana in tutto l'occidente. http://it.wikipedia.org/wiki/Parco_degli_Acquedotti
La visità verrà svolta in mattinata con inizio alle 10.30 con una durata di circa h 2.30.

In caso di prevedibile pioggia (36/48 h. prima) la visita potrebbe essere svolta in un itineriario alternativo probablmente (SS.Cosma e Damiano o S. Maria in Domnica).


Per maggiori informazioni http://www.edesia.org/

martedì 6 ottobre 2009

Michelangelo architetto a Roma


Dal sito del comune di Roma apprendo la notizia che apre oggi, 6 ottobre 2009, presso i Musei Capitolini la grande mostra "Michelangelo architetto a Roma", testimonianza dell'amore del grande artista per la nostra città e del segno forte che ha saputo imprimervi.

La mostra, a cura di Mauro Mussolin e Pina Ragionieri, si articola in 17 sezioni ed espone 105 opere che tracciano un profilo di Michelangelo architetto a Roma nei due principali momenti in cui l'artista visse nella città, tra 1505 e 1516 e dal 1534 fino alla morte nel 1564.

Cuore della mostra è lo straordinario nucleo di oltre 30 disegni autografi dell'artista relativi a opere romane, che si alternano con antiche stampe, disegni, modelli, volumi e documenti originali dell'epoca, concessi in prestito da importanti collezioni italiane.

L'itinerario espositivo parte dai tempestosi rapporti di Michelangelo col Papa Giulio II della Rovere, per il quale l'artista progettò un monumento sepolcrale che lo coinvolse fino alla sua morte, passa per la passione del maestro per l'arte classica - testimoniata dai bellissimi fogli di studio dall'antico, noti come copie dal cosiddetto Codice Coner, celebre taccuino cinquecentesco di rilievi di antiche architetture romane - arriva alle grandi committenze di Paolo III Farnese: le trasformazioni di Piazza del Campidoglio, il completamento di Palazzo Farnese, la carica di architetto della Fabbrica di San Pietro.

La sezione riguardante i progetti per la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini e per Porta Pia documenta uno dei vertici della progettazione architettonica di Michelangelo.

Il lungo percorso si conclude con le esperienze estreme, in termini cronologici ma soprattutto di innovazione compositiva, della Cappella Sforza e della trasformazione delle terme di Diocleziano nello spazio di Santa Maria degli Angeli.

La mostra rimane aperta fino al 7 febbraio 2010. Sono previste visite guidate per le scuole con partenza da piazza del Campidoglio.

Per il pubblico, oltre alla visita alla mostra, è in programma nei week end e nelle festività natalizie un calendario di visite ai luoghi michelangioleschi.


Dal 6 ottobre 2009 al 7 febbraio 2010 dal martedì alla domenica ore 9-20
Ingresso solo mostra: Intero € 6.00; Ridotto € 4.00;
museo + mostra: Intero € 9.00; Ridotto € 7.00

Info: 060608 (tutti i giorni dalle 9 alle 21).

lunedì 5 ottobre 2009

l’apertura straordinaria della Villa di Adriano




Il Comitato “Villa di Adriano” ha il piacere di comunicare, al termine della prima fase dei lavori di riqualificazione, l’apertura straordinaria del Complesso Monumentale “Villa di Adriano”.

Nell'ambito dell'evento è prevista l’apertura straordinaria del Complesso nelle giornate di domenica 4- 11-18 e 25 ottobre 2009 dalle ore 9.00 alle ore 13.00.

Inoltre nelle giornate di sabato 10 e 17 ci sarà l’apertura notturna del sito dalle ore 19.00 alle ore 21.00.

Sarà possibile per la prima volta visitare le imponenti cisterne romane del piano inferiore della Villa attribuita all’imperatore Adriano – dove nel 1793 fu rinvenuta la famosa statua dell’Antinoo Braschi, oggi conservata nei Musei Vaticani – e ammirare le ultime scoperte riguardanti la Chiesa medievale di Santa Maria e del suo prezioso affresco quattrocentesco.

I visitatori saranno accompagnati lungo il percorso dai membri del Gruppo di Ricerca del Comitato che dal 2006 si occupa dello studio e della riqualificazione del sito.

Info http://www.villadiadriano.it/ – tel. 3280257550 – 3357663047.Ingresso libero




notizia ripresa da http://www.archeoblog.net/

venerdì 2 ottobre 2009

La Campagna in Città a villa Celimontana


Il 3 e 4 ottobre, dalle ore 10.00 alle 20.00, nell’area di Villa Celimontana, vi aspettano: un mercatino delle aziende agroalimentari, florovivaistiche e artigiane della campagna romana, la fattoria didattica per bambini, degustazioni dei prodotti tipici, caccia al tesoro, lezioni di giardinaggio e molto altro ancora…

La Campagna in Città” è il grande festival dell’agroalimentare che racconta, in modo semplice e divertente, il mondo di saperi e sapori della campagna romana.


Per i più piccini:




giovedì 1 ottobre 2009

Notturno Scienziato


Apertura serale straordinaria del Museo Civico di Zoologia, in via Ulisse Aldovrandi 18 a Roma, per inaugurare la stagione della Scienza Divertente 2009-2010.
Genitori e figli, nonni e nipoti, gruppi di amici, ragazzi e adulti, potranno partecipare in squadre nelle sale e nei laboratori del Museo ad attività scientifiche rivisitate in chiave ludica.
Nei panni di aspiranti Lorentz e Darwin, i partecipanti potranno sfidarsi e realizzare esperienze scientifiche avvincenti per cercare di salvare alcune specie in pericolo di estinzione.
Risveglia il naturalista che è in te! ...fra scaglie, deserti, ghiacci e reperti!
Al termine delle attività verrà offerto un rinfresco.

L'evento avrà luogo questo sabato 3 ottobre dalle 20.30 alle 22.30. Vi ricordo che la prenotazione è obbligatoria (0632609200; 0697840700) e il costo è di 10 euro a partecipante.

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